Non ci credevo.
In gennaio, quando i giornali riportavano gli allarmi americani per un'imminente aggressione russa all'Ucraina, in un post FB scrivevo che non credevo affatto a questo pericolo e che mi sembrava un procurato allarme.
Poi il 24 febbraio l'invasione cominciava e dichiaravo sul solito FB di essere un perfetto idiota.
Adesso, dopo 60 giorni di guerra, voglio cercare di capire perché mi sono sbagliato così clamorosamente.
Cosa volete farci, su Facebook e in rete anche gli idioti hanno diritto di parola.
Lo dico subito: sono un néné e trovo la cosa complessa. Se avete voglia continuate a leggere: sarò lungo, anche più al solito.
Perché non ci credevo?
La risposta è molto semplice: mi sembrava impossibile, contraddittorio. Questa è una guerra di conquista, una guerra da XX, se non da XIX, secolo. Una guerra fatta per conquistare qualche decina o centinaio di chilometri di terreno.
In un mondo globalizzato, dove le frontiere sono permeabili, merci e uomini si muovono liberamente, dove chi sta oltre il confine parla più o meno lo stesso pessimo inglese, veste allo stesso modo, desidera più o meno le stesse cose non riuscivo a credere che potesse accadere una guerra di questo tipo. Una guerra in cui, a proposito dei russi, si rispolvera la conferenza di Monaco, ma a me viene in mente ancor più la redenzione di Trento e Trieste, roba da prima, nemmeno seconda, guerra mondiale. Una guerra in cui, a proposito degli ucraini, ho letto articoli in cui si rispolvera la buonanima di Mazzini.
Siamo fuori dal mondo, e dal tempo!
A me gli annunci di guerra sembravano un wishful thinking americano, alla ricerca dell'occasione per regolare i conti con la Russia: una guerra "chiamata". Magari lo facessero, sistemiamo la cosa una volta per tutte!
Le guerre oggi.
Ho visto tante guerre negli ultimo trent'anni: Kosovo, Iraq 1 e 2, Afghanistan, Siria. Per non parlare dell'Africa, o dello Yemen. Non preoccupatevi: non mi metto a fare i conti dei civili dilaniati dalle bombe. È storia e politica, è successo di peggio.
Il punto è che erano guerre completamente diverse: guerre mosse da coalizioni internazionali per "difendere" un popolo in lotta per la libertà (Kosovo, Siria) o per portare libertà e democrazia in paesi oppressi da regimi canaglieschi e pericolosi per l'ordine mondiale (Iraq, Afghanistan).
Dal tono di questo post è facile capire che non ci credo: se in qualsiasi paese europeo una forza separatista avesse fatto anche solo la metà degli atti di violenza compiuti dall'UCK in Kosovo (o, per dirla tutta, dai dimostranti in piazza Maidan nel 2014) nessuno avrebbe protestato per la repressione; anzi, si sarebbe gridato alla sovversione e al terrorismo. Almeno, io la vedo così.
La Siria poi mi sembra uno dei peggiori crimini degli ultimi secoli: una "primavera" incoraggiata e sostenuta dall'occidente, infiltrata dall'estremismo islamico, appoggiata solo a metà, perché non perdesse, abbandonata quando rischiava di vincere, purché la guerra andasse avanti senza vinti né vincitori. Tutto sulla pelle del popolo siriano. E i profughi buttati nei campi libanesi e respinti dai confini della fortezza europea. Semplicemente disgustoso.
E non parliamo delle armi chimiche di Hussein.
Ma c'era uno spazio vuoto da riempire.
Osservatori malevoli e sinistri hanno sostenuto che queste guerre fossero dovute a interessi economici: petrolio, uranio, coltan...
Non credo nemmeno a questa narrazione. Nella nostra sensibilità occidentale qualche vantaggio economico non basta più a spiegare una guerra, e le materie prime si strappano molto più facilmente con trattati commerciali e qualche milione di dollari.
Io (io, io, io, fottiti... Eppure la vedo così) credo che l'uomo occidentale, che da mezzo millennio è padrone del mondo, si sia assunto una missione: quella del progresso tecnologico-scientifico. Il cammello del mio vecchio amico Federico.
È semplicemente inammissibile che un popolo, una nazione, voglia continuare a vivere come è vissuto negli ultimi mille anni, senza rincorrere l'ultimo telefonino, l'ultimo ritrovato della medicina, l'ultimo social.
Che non voglia capire che ci sono bisogni di cui non ha nemmeno il minimo presagio, ma devono essere conosciuti e, una volta conosciuti, saranno irrinunciabili.
Senza accettare la triste notizia che Dio è morto e che l'umanità è gettata in nuove sfide: sempre più cose, sempre più informazioni, sempre più successo, sempre più partner, sempre più chiacchiere. Purché sia nuovo e di più.
E, questo è davvero difficile da digerire, senza riconoscere i diritti di minoranze etniche, sessuali ecc.
Per chi resta fuori da tutto questo è guerra, guerra giusta e santa.
Le cose sono ancora più complicate (scusate l'espressione): non possiamo accettare che altri popoli, tirati dentro questa sfida, ci sopravanzino. In questa santa guerra dobbiamo mantenere il primato e questioni di civiltà si incrociano con questioni di egemonia, di nazione ecc. Passato e futuro si affrontano. Ci ritornerò.
Dunque guerra per democrazia, libertà, civiltà.
Ma una guerra per cento chilometri di confine, chi se lo sarebbe mai aspettato...
Eppure è successo!
Ragion sufficiente
Il mio amato Goffredo Ludovico sosteneva che "non accade mai niente senza che vi sia una ragione determinante [sufficiente], vale a dire qualcosa che possa servire a rendere ragione a priori del perché una data cosa è esistente."
L'aggressione russa all'Ucraina è ingiustificabile, violenta, orribile.
Ma deve pur esserci una spiegazione (non una giustificazione) per una guerra che sembra non avere senso né spaziale né temporale, per il trasferimento di una guerra di conquista, ottocentesca, nel ventunesimo secolo.
Forse l'innata ferocia del popolo russo? Forse la follia di un dittatore? Ancora una volta non ci credo.
Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine dell'Unione Sovietica il mondo è cambiato radicalmente. L'Impero del Male, il nemico con cui ci era confrontati e a cui ci si era opposti per quasi mezzo secolo, che tuttavia incuteva rispetto e obbligava alla prudenza non esisteva più.
Al suo posto nasceva uno stato nazionale, la Federazione Russa. Era uno stato esausto per le contraddizioni del socialismo reale, per la corsa agli armamenti dell'età reaganiana, per la guerra afghana (e qui si potrebbe aprire un altro discorso lunghissimo, ma lasciamo perdere).
Terminata con un fallimento la missione universalistica di paese alfiere del socialismo (con i suoi slanci ideali e gli orrori fatti di gulag, purghe, carestie. Eppure ci abbiamo creduto in tanti, dovrebbe essere obbligatoria la lettura di Vasilij Grossman) la Russia ferita e umiliata si ricompattava intorno a quello che le rimaneva: l'identità nazionale (l'idea di nazione, una delle idee più stupide uscite dal XIX secolo), la memoria della grandezza militare (Napoleone, Hitler) che da sempre è stata uno degli elementi fondanti l'identità russa.
Intanto, grazie alle notevoli risorse naturali, innanzitutto gas e petrolio, la società russa cambiava. Nasceva un ceto medio piuttosto benestante, elementi di vita occidentale si diffondevano in Russia, arrivavano internet e facebook, McDonald e blue jeans, musica e film. Turisti russi visitavano i paesi occidentali e ritornavano in patria: io ne ho conosciuti alcuni, a una famiglia russa ho venduto la mia vecchia casa: persone assolutamente "normali" secondo il metro occidentale, che vestono meglio di me, parlano un inglese migliore del mio, desiderano pace e benessere.
Bastava avere pazienza, evitare esibizioni muscolari, e la globalizzazione avrebbe fatto il suo corso, la vittoria sarebbe stata completa, la società russa si sarebbe liberata da aspetti dispotici e militaristici ormai anacronistici: il modo di vita occidentale, per quanto sciocco, è inarrestabile. La vita a Mosca non sarebbe stata molto diversa dalla vita a Roma o Parigi, con un po' di vodka e matrioske in più, che non guasta.
Invece... l'Occidente (e intendo soprattutto Stati Uniti e NATO) ha continuato a considerare la Russia come un nemico da isolare e di cui diffidare. Un nemico in ginocchio, con un'economia in affanno, un esercito dotato di armi obsolete, su cui, non fosse per l'eredità nucleare sovietica e il posto fisso in consiglio di sicurezza dell'ONU, si potrebbe maramaldeggiare.
Qualcuno mi dirà: "Ma sei matto?", "Chi, noi?".
Guardate, da anni il mio giornale principale, che leggo ogni mattina sul telefonino, è La Stampa. È un giornale serio, so cosa aspettarmi e come interpretare, insomma, mi trovo bene. Una delle cose che poco mi piacciono di questo giornale è l'inossidabile atlantismo: Russia e Cina vengono spesso definiti "l'avversario", al direttore Giannini un paio di volte è sfuggito "il nemico", e questo prima della guerra in Ucraina. Perché mai?
L'Occidente diffida della Russia, ma la Russia diffida dell'Occidente, come darle torto? I russi ricordano l'invasione francese, il cordone sanitario, l'invasione tedesca, la guerra fredda. Chiedono garanzie e non le ottengono.
Hanno digerito l'unificazione tedesca con l'ingresso della Germania Est nella NATO, la dissoluzione della Jugoslavia, l'allargamento della NATO a Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria nel 1999, a Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia nel 2004, ad Albania e Croazia nel 2009, al Montenegro nel 2017, alla Macedonia del Nord nel 2020.
Si può obiettare che tutti questi sono paesi sovrani e hanno chiesto liberamente di aderire al Trattato: è vero. Ma io ritengo che questo allargamento andasse scoraggiato, non accolto con entusiasmo.
Quando l'Unione Sovietica era il nemico, questi erano paesi "satelliti" e il mondo era diviso in sfere di influenza abbiamo assistito senza muovere un dito all'invasione dell'Ungheria nel 1956 e della Cecoslovacchia nel 1968.
Adesso che questi sono paesi liberi e sovrani e che non c'è (non c'era fino al 24 febbraio) motivo di considerare la Russia il nemico, perché affondare il coltello in quello che la Russia considera una specie di cintura di sicurezza e portare l'alleanza atlantica fino ai suoi confini?
Ma, si può obiettare, l'Ucraina non era membro della NATO e non erano in corso trattative per la sua entrata nell'alleanza. Vero anche questo, ma, a parte che la storia dell'Ucraina dopo il 2004 e, ancor più, dopo il 2014 è complicatissima e non riesco a capirla, quando la Russia ha chiesto garanzie le è stato risposto a muso duro che è l'alleanza atlantica a scegliere i propri membri, non la Russia. E dal 2014 ufficiali inglesi e americani addestravano l'esercito ucraino (e venivano fornite armi). Non esattamente rassicurante.
Ripeto, l'aggressione di uno stato sovrano è un atto criminale e questa guerra ha un andamento molto feroce. Il problema non è giustificarla e dare giudizi morali.
Il problema, purtroppo, è che la guerra è una delle possibilità umane. Quando sento dire che la guerra è inumana e bestiale fatico a trattenere le risate: non c'è nulla più umano della guerra, l'uomo è l'unico animale sul nostro pianeta a fare la guerra. Gli altri animali possono sbranarsi, distruggersi per controllare le risorse di un territorio, ma non conosco altri animali che si organizzino in stati, costituiscano eserciti, facciano politica di potenza e conquista, escogitino armi sempre nuove e più potenti.
Per quarant'anni ho insegnato storia nei licei e la maggior parte delle mie ore di lezione trattavano di guerre, non sto a fare l'elenco: dimenticherei inevitabilmente qualcosa.
La Russia andava rassicurata, coinvolta in progetti comuni: questa sarebbe stata una politica ragionevole. Metterla nell'angolo, fare scelte politiche e militari che tutti sapevamo avrebbe percepito come ostili, è stata una follia. O forse è stato molto razionale: fa parte del grande gioco dell'egemonia mondiale, ma è un gioco molto pericoloso (e immorale).
L'analogia dell'energumeno
Leggo nei giornali e sento alla radio (grazie a Dio mi sono liberato dalla televisione da oltre dieci anni e non devo subire i petulanti talk show) che i nemici della complessità scuotono le spalle infastiditi di fronte ad argomenti di questo tipo e rispondono con una semplice analogia, la chiamerò l'analogia dell'energumeno.
Più o meno suona così: se vedi un uomo grosso e cattivo picchiare un piccoletto cosa fai? Resti a guardare? Stai lì a interrogarti sulle cause recenti e remote? L'unico comportamento decente è aiutare il piccolino, poi si vedrà.
A parte che se voi siete irritati dalla parola complessità io sono irritato da queste semplificazioni che vogliono comprendere la storia universale riducendola a una rissa da bar.
A parte, ancora più importante, che una persona decente si mette in mezzo e separa i contendenti, non sta nell'angolo gettando al piccolino temperini e biglie incitandolo a continuare la lite fino alla morte, probabilmente sua.
A parte tutto questo, con grande fastidio, voglio provare a scendere su questo terreno e rispondere con un'analogia appena un pochino più complessa: scusate, è un vizio. Comunque è facile facile, non si fa fatica.
Immaginate di essere un insegnante che deve gestire una classe difficile. C'è un alunno grande e grosso, ripetente, un po' rozzo e pieno di risentimenti più o meno giustificati (la Russia) e ci sono tanti altri alunni piccolini e vivaci, pieni di rancore verso l'alunno grande e grosso perché il padre (l'Unione Sovietica, per la Polonia certamente anche l'impero zarista) ha fatto loro dei torti. Il grande e grosso si trattiene, ma prima o poi esploderà.
Cosa dovrebbe fare un bravo insegnante?
Mettere il gigante in un angolo, sgridarlo per ogni cosa che ha fatto e non ha fatto, incoraggiare i piccolini a insultarlo e scherzarlo (come dicevamo da bambini: mamma, mi scherza)?
Oppure dovrebbe mettere un freno al risentimento dei piccoli e dedicarsi al grande e grosso, cercare di conquistarlo all'amore per il sapere, per la buona convivenza, per il rispetto di regole condivise?
A me pare che il giusto comportamento sia il secondo e, per uscire di metafora, che un Occidente dotato di buon senso avrebbe dovuto porgere la mano alla Russia del 1991 che usciva dalla tragedia - tutta occidentale, Marx era tedesco, il socialismo è una delle facce dell'Occidente - del socialismo reale, o, con più lungimiranza, già all'Unione Sovietica di Gorbaciov nel 1985.
La scelta invece è stata approfittare della debolezza del vecchio nemico e gettarsi a fagocitarne una dopo l'altra le zone di influenza. Schadenfreude, dicono i tedeschi.
Mi direte che io non ho imparato niente da Monaco, vi rispondo che voi non avete imparato niente da Versailles.
Ancora della ragion sufficiente.
Giuro che non voglio fare il furbo: se c'è una spiegazione del comportamento russo, così ci deve essere una ragione sufficiente per lo scriteriato Drang nach Osten occidentale degli ultimi trent'anni; ogni mutamento ha una causa e vogliamo cercare di comprendere. L'innocenza del divenire, diceva Benedetto.
Credo che ci siano due ragioni fondamentali.
La prima è inseparabile dalla natura umana e struttura portante della storia universale: l'horror vacui. Dove si apre uno spazio vuoto nasce l'appetito di riempirlo, ma il vuoto non è mai completamente vuoto, l'uomo è testardo e questa coazione a riempire ha prodotto lutti infiniti. Finché l'uomo sarà uomo e non supererà l'umano andrà così: Federico aiutami tu!
La seconda è meno metafisica ed è una costante della storia europea degli ultimi due secoli: la diffidenza nei confronti della Russia, la russofobia.
Quando Pietro, tagliando barbe e teste, prese la Russia, la trascinò a occidente e la affacciò sui mari la combriccola degli stati europei, che da mille anni si sbranavano in guerre feroci, si trovò di fronte a un intruso inquietante. Un paese immenso, disteso tra Asia e Europa, quasi sconosciuto, si presentava sulla scena delle beghe politiche e religiose europee.
Il Settecento è stato un secolo leggero, un secolo di buone maniere, fatto di guerre e guerricciuole di successione al termine delle quali sovrani e diplomatici trovavano soluzioni tra gentiluomini (va be', semplifico moltissimo: a qualcuno forse farà piacere. Andate a dirlo alle centinaia di migliaia di contadini presi con la forza e fatti carne da cannone. E la guerra dei 7 anni è stata la prima guerra veramente mondiale). Comunque, prima che le masse irrompessero nella storia e il 1789 aprisse la grande tragedia della modernità, nei rapporti internazionali la cortesia era la regola, e cortesia impone di accogliere con un sorriso i nuovi venuti, specie se un po' esotici e barbarici. Caterina corrispondeva con le corti europee, con Diderot, Voltaire, D'Alembert. E nulla impediva a Austria, Prussia e Russia di mettersi d'accordo per fare un sol boccone della vecchia, gloriosa e decadente Polonia, sempre comme il faut.
Ma quando la grande armata francese, che aveva conquistato un continente, si scioglieva tra le fiamme di Mosca ed era ricacciata ad ovest dalle orde cosacche le cose cambiavano.
L'intruso era una grande potenza, pericolosa e minacciosa: la maggiore potenza militare di terra (io non lo credo proprio, Napoleone era stato sconfitto dal fuoco e dalla neve, dal ghiaccio e dal fango, dalle distanze e dalla sconfinata ambizione). Per il Regno Unito era inammissibile, la balena non poteva tollerare l'orso. Tanto più che si temeva che la Russia dai suoi territori asiatici potesse minacciare l'India: ovvio, gli inglesi in India sono cosa normale, i Russi in India una bestemmia.
L'Ottocento è percorso dalla preoccupazione che La Russia, approfittando dell'agonia dell'Impero Ottomano, potesse troppo rafforzarsi e soprattutto, un altro spettro aggirantesi per l'Europa, potesse affacciarsi sul Mediterraneo.
Le cose sono complesse e, inevitabilmente, semplifico. Si può obbiettare e rispondere alle obbiezioni, ma nelle linee generali credo di non sbagliare.
Quando, nel 1853, la Russia (in concorrenza con la Francia) si erge a protettrice dei cristiani sottoposti al dominio turco e invade Moldavia e Valacchia, Francia e Inghilterra entrano in allarme (e presto arriva l'aiuto di Cavour): meglio i turchi dei russi. Ed è la guerra di Crimea: vi dice qualcosa? Questa guerra si studia nei nostri libri di storia. La Russia è sconfitta e umiliata (E si apre un periodo di grandi riforme e cambiamenti. Delitto e castigo).
La questione si ripropone nel 1877 (intanto sono cambiate moltissime cose: l'impero francese è crollato a Sedan, è nato il Reich tedesco, è nato il regno d'Italia, Bismarck cerca di tenere insieme Germania, Russia, Austria): in Bulgaria si svolgono moti antiturchi, l'Impero Ottomano è convinto che siano sostenuti dai russi e reprime con estrema durezza (mai sentito anche questo?). Ed è la guerra russo-turca del 1877-1878.
Nei nostri libri di storia le si dedica al massimo una mezza riga. Per i Russi è un episodio importantissimo, l'assedio di Pleven e l'avanzata fino alle porte di Istanbul fanno parte dell'epos russo, ne parlano romanzi abbastanza belli.
Questa volta la Russia si muove con cautela, cerca accordi e contatti con Inghilterra, Francia, Austria.
Ma la pace di Santo Stefano è inaccettabile per Gran Bretagna e Francia: una grande Bulgaria alleata della Russia e affacciata sull'Egeo non si può vedere.
In questa carta geografica satirica del 1877 si vede bene come la minaccia della piovra russa, pronta a stritolare l'Europa, non sia un timore di oggi.
Il Mediterraneo è cosa di Francia, Italia e Regno Unito (che presidia Gibilterra, Malta e, d'ora in poi, Cipro). Il Congresso di Berlino ridimensiona Bulgaria e ambizioni russe: una nuova umiliazione.
E intanto si gioca la partita asiatica (intrecciata con quella balcanica: da Suez passa la rotta per l'India, e una Russia potenza mediterranea la minaccia): chi legge Il grande gioco di Peter Hopkirk può rendersi conto di quanto qualsiasi mossa russa sia stata vista da stato maggiore e diplomazia inglese come una minaccia all'India inglese, e di come tali sospetti siano stati spesso ingiustificati e abbiano alimentato una progressione di atti ostili e violenza.
Ci voleva Tsushima (e la malcelata simpatia delle diplomazie occidentali per il Giappone, e la rivoluzione del 1905) perché si scoprisse che la Russia non era una minaccia, ed è la Triplice Intesa.
Ma con il 1917 ricomincia tutto: allo spettro russo si somma lo spettro del comunismo. La Russia sovietica e traditrice è circondata da una cintura di sicurezza.
Nulla è più lontano da me dal voler giustificare la dittatura staliniana (l'ho detto, dovrebbe essere obbligatorio leggere Grossman), ma credo che l'isolamento dell'Unione Sovietica l'abbia favorita.
Citare la Conferenza di Monaco è diventato un passatempo per qualsiasi occasione, ma io ricordo di avere letto (non so più dove, ho letto parecchio e dimenticato di più, credo di poterlo ritrovare) che nel 1938 Stalin offrì di mettere a disposizione diverse divisioni dell'armata rossa per una guerra contro la Germania. La Polonia negò il diritto di passaggio (e si può capire: veniva da un secolo di dominazione zarista e da una recente guerra contro la Russia sovietica), Chamberlain e Daladier fecero orecchie da mercante.
Lo sciagurato patto Molotov-Ribbentrop , l'arrogante "contrordine compagni" fu anche un atto di autodifesa. Francia e Inghilterra diffidavano dell'Unione Sovietica, l'Unione Sovietica diffidava di Francia e Inghilterra e non voleva trovarsi sola contro la potenza nazista. Che Katyn sia stato un orrore è inutile dirlo, lo sappiamo tutti.
A Yalta la Russia staliniana non cerca solo di fare una politica di potenza, cerca anche (credo soprattutto) di avere garanzie che Napoleone e Hitler non si ripetano, di non avere nemici alle porte.
Ed è cortina di ferro e guerra fredda: di quanto avviene dopo abbiamo parlato sopra.
Certo, anche la russofobia avrà una ragione sufficiente, ma il fatto è lì, evidente e innegabile, e non mi interessa ficcarmi in un regressus in infinitum.
Un mio vizio è cercare di capire dove sbaglio io o la mia parte, per tentare di correggermi. Per questo spesso passo per un traditore della patria e degli amici.
Spesso si cita (lo faceva giorno sì e giorno no Veltroni) la frase di Carl Schurz "“My country, right or wrong", ma si dimentica che concludeva così: "if right, to be kept right; and if wrong, to be set right”.
E allora? La Cina è vicina.
Io non so come e quando finirà questa assurda e anacronistica guerra, in cui motivazioni nazionali si intrecciano con la sfida per l'egemonia mondiale. Nemmeno so come desidero che finisca, se con concessioni territoriali ai russi e una rapida conclusione o con la vittoria ucraina, la "redenzione" dai russi delle terre già "redente" dai russi (Dombas, Crimea), la caduta di Putin, l'indebolimento della Russia. Credo di sapere che questa guerra poteva e doveva essere evitata.
Quello che so è che questa guerra dovrebbe farci riflettere e guardare al futuro con qualche maggiore lungimiranza.
Come ho scritto la lettura mattutina de La Stampa mi permette di percepire abbastanza bene il mood atlantista: c'è un altro "avversario", a volte scappa detto "nemico", ben più insidioso e potente della Russia: la Cina.
Mi chiedo perché.
Non vedo, almeno per ora, atti ostili da parte della Cina. Certo, la Cina è diventata, è stata costretta a diventare, una grande potenza industriale, si è dotata di sofisticate tecnologie, ha una popolazione immensa e un potente esercito.
Non è stata la Cina a chiedere di partecipare a questa nobile gara: nel 1793 l'imperatore Qianlong rimandava in Inghilterra l'ambasciatore Macartney con una lettera che ringraziava Giorgio III per i "tributi" e cortesemente (non troppo) rifiutava di aprire rapporti commerciali con la Gran Bretagna perché "noi non abbiamo mai apprezzato oggetti strani e curiosi e non abbiamo alcun bisogno dei prodotti del tuo paese".
Ci sono volute due guerre dell'oppio, la repressione della rivolta Taiping e di quella dei Boxer (Guglielmo II: "che un Cinese non osi mai più nemmeno guardare di traverso un tedesco"), due guerre mondiali, la grande tragedia della Rivoluzione Culturale.
Alla fine la Cina, spinta con la frusta, è scesa nel campo della sfida lanciata dall'Occidente. Ci si è messa con la dedizione e la disciplina della tradizione confuciana e, in molti campi ha superato Stati Uniti ed Europa.
È la globalizzazione, bellezza!
Se, come io credo, l'uomo occidentale si è sobbarcato ad una missione: lo sviluppo della scienza, della tecnica, delle forze produttive (lo siamo diventati, Renato mio, i "ben titolati signori della natura". Io ne avrei anche fatto a meno), dovrebbe rallegrarsi che un nuovo popolo, e con tanto successo, condivida questa missione. Dovrebbe collaborare e gioire della competizione: è garanzia che i risultati saranno sempre migliori.
Ma a questo scopo ultimo, lo sviluppo, si oppongono considerazioni legate all'egemonia mondiale e alla potenza nazionale: ben venga che Cina (e Corea, e India, e Vietnam ecc.) diventino le officine del mondo, ma il primato deve rimanere occidentale. Considerazioni condite, a mio parere in modo piuttosto pretestuoso, di democrazia, libertà, diritti umani.
Giorgio Guglielmo Federico sosteneva che lo Spirito del Mondo abita di volta in volta un popolo, poi passa ad un altro e non ritorna. Gli Stati Uniti hanno avuto il loro grande secolo, ed è ovvio che difendano il loro primato. Ma che la fiaccola passi ad altri non è uno scandalo, anzi, in fondo è un'ovvietà, e forse si può sperare che la missione storico-mondiale sia interpretata in modo un po' meno sciocco e più consapevole. Noi italiani siamo stati visitati dallo spirito del mondo ben due volte: con Roma e con il Rinascimento, potremmo considerarci soddisfatti e dedicarci al nostro tran tran post storico.
Io non riesco a vedere nella Cina una minaccia: ho un telefonino cinese, un computer in buona parte fatto in Cina, mutande cinesi, evito malattie cinesi.
Credo che considerare la Cina un avversario o un nemico, invece che un leale competitore, sia una pericolosa follia.
Qualcuno chiederò di cosa sto blaterando: faccio due esempi.
Ci stiamo avviando verso il paradiso del G5: so che mi piacerà, davanti alle novità informatiche sono goloso come un bambino davanti a una torta, anche se trent'anni fa vivevo altrettanto bene e forse meglio senza telefonino e computer: leggevo di più, pensavo di più, scopavo di più (va be', scopavo e basta. Ero giovane). Attraverso le centraline G5 passeranno miliardi di dati, spesso sensibili e riservati, e le aziende cinesi offrono soluzioni tecnologiche avanzate e a buon mercato.
Ora, posso capire che considerazioni di sicurezza nazionale inducano ad evitare di affidare ad aziende cinesi questi nodi vitali (capire, non condividere. Per me le nazioni non moriranno mai abbastanza presto).
Ma il boicottaggio di Huawei è semplicemente grottesco: decidere di non affidare ad Hawei la progettazione e costruzione delle infrastrutture G5 può avere un senso, ma vietare ai telefonini honor l'uso di google maps, gmail, google play è una dissennata provocazione: cosa ci aspettiamo in cambio?
Stessa cosa, se non peggio, la seconda via della seta: l'occidente ha imposto al mondo l'economia globale, il WTO la sorveglia, eppure la costruzione di una via commerciale che trasporti più rapidamente merci che comunque compreremmo viene considerato un atto ostile (e il governo italiano, che ha partecipato al progetto, sospettato di tradimento). Ancora una volta, cosa ci aspettiamo?
Si potrebbe dire: e gli Uiguri? E Tienanmen?
Io rispondo: e le migliaia di naufraghi nel mediterraneo? E i campi di concentramento libici? E il confine ungherese? E lo Yemen? E l'Egitto?
Potrei andare avanti. Ma guardate, il mio non è benaltrismo. Almeno non lo credo.
Si narra che Roosevelt abbia detto a proposito di Somoza: "sarà anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana".
È proprio questo che non accetto: io penso che ogni popolo e nazione dovrebbe fare i conti con i propri figli di puttana, aspettando e sperando che gli altri popoli lo facciano con i loro. Denunciare gli altrui figli di puttana è un modo molto facile per dimenticarsi dei propri.
Sono molto stanco e deluso, ma continuo a pensare che la storia si muova verso la libertà e che nazionalismi, sospetti, accuse siano un ostacolo a questo cammino.
Non vorrei svegliarmi una mattina ascoltando alla radio la notizia che la Cina ha invaso Taiwan, per poi sentire, in attesa della bomba finale, pensosi commentatori denunciare le atrocità cinesi e invitare ad armare la resistenza di Taipei.
Se si impedisce a un popolo o a un paese di affermarsi attraverso la competizione pacifica la guerra è una possibilità molto concreta. E non è più la guerra di una volta, con qualche decina di migliaia o di milioni di morti: in gioco è l'umanità, il che forse non è questo gran male.
Con la Cina bisogna cercare cooperazione, distensione, collaborazione, bisogna evitare di vedere in ogni sua azione un atto ostile e di elevare il livello della scontro. Lasciate che Huawei usi Google Maps, lasciate che i treni attraversino l'Asia.
Io ve l'avevo detto, prima che tutto cominci, o finisca.